La maggioranza degli italiani ha fiducia nei medici e nei ricercatori. A sorpresa, il sesso forte è quello femminile
Varie volte, in questi mesi di pandemia da Covid-19 abbiamo sentito o letto affermazioni come “Dopo il Covid la sanità non sarà più la stessa". Se lo augurano i pazienti, che hanno toccato con mano pregi e difetti del servizio sanitario nazionale, lo auspicano anche quanti operano nelle strutture sanitarie, in primis negli ospedali, che hanno dovuto far fronte alle ripetute ondate pandemiche e al carico di pazienti critici da curare.
Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stata ridisegnata la sanità del futuro. Ma gli italiani come vorrebbero essere curati? Il Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), nel giugno dello scorso anno, lo ha chiesto a un campione rappresentativo di cittadini e di operatori sanitari e nei giorni scorsi è stato reso pubblico il "Rapporto sul Servizio Sanitario voluto dagli italiani", elaborato in collaborazione con Janssen Italia, del Gruppo Johnson & Johnson, (azienda farmaceutica che ha prodotto uno dei vaccini anti-Covid-19).
La ricerca evidenzia l'interesse e l'attenzione dei cittadini verso la propria salute, a partire dalla relazione con il medico, in cui 9 italiani su 10 ripongono fiducia. Oltre 9 intervistati su 10 hanno fiducia nei ricercatori scientifici e ritengono che la spesa pubblica in ambito salute rappresenti un investimento e non un costo. Risulta molto alta anche la percentuale di chi nutre fiducia nel servizio sanitario della propria regione (73,2%) e il 61% degli italiani è convinto che nei prossimi anni grazie alle lezioni apprese dalla pandemia la nostra sanità migliorerà. E che, affinchè questo avvenga, sarà indispensabile "costruire la cura intorno al paziente": il 94,3% degli intervistati auspica una maggiore personalizzazione delle cure e il 92,9% auspica che i percorsi di cura, dal domicilio, al territorio fino agli ospedali, siano organizzati sulle esigenze del paziente. Questo "Rapporto" dunque rilancia un tema, la "personalizzazione delle cure", che oltre ad essere declinato sul versante di una centralità del paziente nella gestione dei percorsi di cura e di assistenza nel territorio e negli ospedali, rappresenta anche sul piano della ricerca medica e scientifica, un obiettivo prioritario della medicina contemporanea. La ricerca di una maggiore appropriatezza in tutte le fasi del processo di cura è alla base sia della medicina di genere, basata sull’influenza del genere femminile o maschile sulla fisiologia, fisiopatologia e sulla clinica delle malattie, sia della medicina personalizzata che si fonda sulla possibilità di personalizzare le terapie e l’utilizzo dei farmaci tenendo presente oltre al sesso, la sequenza genomica dei pazienti e del loro ambiente di vita e lavoro. Negli ultimi trent’anni, grazie alle fondamentali innovazioni sviluppate nel campo della biologia molecolare e delle biotecnologie, della genetica e dell’informatica, sono stati fatti importanti passi avanti in questa direzione, di un approccio globale alla prevenzione, alla diagnosi, alla cura e al monitoraggio delle malattie basato sulle caratteristiche genetiche e non solo, di una persona. L’idea di fondo è che il genoma di ciascun individuo, interagendo con l’ambiente, conferisca caratteristiche uniche a patologie complesse che possono così essere diagnosticate e curate in maniera più efficiente ed efficace.
All’inizio degli anni 90, l’avvio del progetto di mappatura del genoma umano ha dato una spinta fondamentale alla medicina personalizzata. Ben presto ci si è resi conto che la conoscenza dei singoli geni da sola non basta a definire o predire l’insorgere di una malattia. Sono necessarie molte altre informazioni legate alle caratteristiche del genoma e alla sua “espressione” cioè alla relazione con l'ambiente. Queste informazioni vengono studiate nelle “scienze omiche”, discipline che hanno per oggetto uno studio molto approfondito della cellula, consentono l'analisi sempre più dettagliata dei processi biologici e consentono lo sviluppo di terapie personalizzate, cioè più efficaci e sicure.
La medicina di genere e personalizzata, è oggetto di crescente attenzione da parte di studiosi e ricercatori, in diversi ambiti medico-sanitari, tra i quali la diagnosi e cura di malattie, neurologiche, cardiovascolari, reumatologiche, infettive e soprattutto oncologiche. Tumori del sangue, dell'apparato respiratorio, gastrointestinale, urinario, genitale, delle ossa e delle parti molli, del sistema nervoso, della pelle: per tutte queste patologie è possibile proporre una medicina che offra il trattamento più indicato per il singolo paziente, tenendo conto della sua individualità, della sua storia medica e delle sue condizioni generali di salute, come pure delle caratteristiche biologiche specifiche del ‘suo’ tumore. E questo è già in parte il presente e sarà il futuro delle terapie oncologiche, avendo come obiettivo assicurare, attraverso le ricerche più avanzate di biologia molecolare, il trattamento giusto, nella modalità giusta, al paziente giusto e al momento giusto. E non di secondaria importanza è anche la possibilità di elaborare test di laboratorio che valutano vere e proprie “impronte digitali omiche”, cioè dei marcatori in grado di predire quanto un tumore sia aggressivo o quale sia la possibilità che generi metastasi.
Anche la pandemia da Covid-19 ha mostrato la necessità di studiare a fondo le diverse manifestazioni della malattia nel sesso maschile e femminile e di un approccio nuovo e diverso alla diagnosi e al trattamento delle malattie virali come quella ancora in corso. Nel mese di gennaio dello scorso anno la prestigiosa rivista Science ha pubblicato un articolo secondo il quale il rischio di decesso per Covid-19 è 1,7 volte superiore tra la popolazione maschile in ogni fascia di età a partire dai 30 anni, rispetto alle donne. Lo studio, realizzato da ricercatori della Yale University, ha approfondito le possibili ragioni di questa diversa risposta all'aggressione da parte del patogeno e ha messo in evidenza l'intreccio di fattori genetici e ormonali in grado di spiegare questo sbilanciamento. La maggiore resistenza delle donne davanti alle infezioni non è comunque una novità ed è stata già osservata anche in altri coronavirus. Durante l’epidemia della SARS, il maggior rischio di ricovero e di morte tra i pazienti di sesso maschile era in linea con quanto si sta osservando oggi e nel caso della MERS, la Sindrome respiratoria medio-orientale (una malattia infettiva provocata sempre da un Coronavirus identificato per la prima volta nel 2012), caratterizzata da un elevato tasso di mortalità, i decessi erano del 52% tra gli uomini e del 23% tra le donne. Ma non abbiamo ancora dei protocolli che ci dicano che la donna vada trattata in modo diverso rispetto ad un maschio. Anche se è probabile che nel giro di pochi mesi, studiando le differenze biochimiche e immunologiche di genere, i ricercatori saranno in grado di calibrare dosaggi e tipi di farmaci. La risposta ai vaccini è superiore nella donna rispetto all’uomo. È possibile che arriveremo a dire che le donne possano fare anche un dosaggio inferiore di vaccino.
Spesso, quando le donne assumono farmaci, hanno un rischio di avere effetti avversi quasi doppio rispetto all’uomo. Tra i motivi per cui questo accade è che spesso il dosaggio è scelto preferibilmente sulla base di test clinici condotti soprattutto sui maschi. Inoltre, oggi sappiamo che le donne hanno un profilo farmacologico diverso rispetto agli uomini sia per assorbimento, sia per distribuzione, biotrasformazione ed eliminazione del farmaco. In altre parole, quello che succede al farmaco nell’organismo, dopo l’assunzione, può essere molto diverso tra uomo e donna e naturalmente influenzare sia l’entità degli effetti terapeutici sia degli effetti avversi.
Uno dei primi esempi di farmacologia di genere è lo Zolpidem, un farmaco contro l’insonnia, per il quale nel 2011, sulla base di uno studio di genere fatto appositamente, l'FDA (Agenzia per gli alimenti e i medicinali del governo statunitense) ha approvato due diversi dosaggi per gli uomini (3,5 mg) e per le donne (1,75 mg). Lo studio ha infatti evidenziato che le donne eliminano il farmaco dal sangue più lentamente ed è quindi sufficiente un dosaggio minore.
La, nostra conoscenza sulle influenze di genere sull’attività dei farmaci sta crescendo e consentirà di avere farmaci sempre più su misura, distinti per uomini e per donne e di usare meglio quelli già disponibili. Ci troviamo già ora nella cosiddetta era della medicina di genere, personalizzata e di precisione; stiamo dunque assistendo ad un incremento di attenzione da parte della ricerca e dell’opinione pubblica verso le differenze di genere e ci aspettiamo che, negli anni futuri, avremo sempre più esempi di farmaci il cui dosaggio é tarato per essere genere-specifico e personalizzato su ogni singolo individuo.